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Bolla del pesco, si combatte ora

Nel cuore dell’inverno serve uno sforzo di memoria: il vostro pesco (o albicocco, o ciliegio o susino) la primavera ed estate scorsa sfoggiava foglie perfettamente verdi, lisce, lanceolate e appuntite, oppure esibiva foglie rossastre, piene di bolle orrende, che ne alteravano completamente la forma facendole apparire deformate? Se la risposta è la seconda, sappiate che l’albero è stato colpito dalla bolla del pesco (che non è solo del pesco), una malattia fungina spettacolare e altrettanto nociva nel lungo periodo.

Perché ve ne parliamo ora che gli alberi sono nudi? Perché per combatterla non potete aspettare che arrivi la primavera e con essa le nuove foglie deformi: dovete agire fra gennaio e febbraio “sul bruno”, ossia sui rami ancora spogli. Perché la malattia si annida proprio nelle gemme ancora chiuse, e un intervento invernale ha lo scopo di evitare che il parassita rinasca in primavera…


Si sveglia già a febbraio

Come tutti i funghi, infatti anche Taphrina deformans (il nome scientifico della bolla del pesco) si riproduce attraverso le spore, paragonabili ai semi, che svernano silenti dentro alle gemme chiuse, e si svegliano appena queste, sollecitate dall’aumento di temperatura, si schiudono. Il fungo viene favorito da un’elevata umidità e da temperature tra fine inverno-inizio primavera comprese tra 7 e 28 °C: 8 °C per qualche giorno sono già sufficienti al risveglio.

I primi sintomi si manifestano con lo sviluppo delle gemme e perdurano fino alla caduta delle foglie, che può anche essere anticipata nel cuore dell’estate. Con il procedere della stagione, invece, i tessuti vegetali sono sempre meno recettivi, e lo sviluppo della malattia risulta più contenuto.

Colpisce principalmente le foglie e, se l’attacco non viene curato, anche i frutti e infine, nei casi più gravi, i germogli. Il pesco è il bersaglio quasi esclusivo, ma molto sporadicamente possono venire colpiti anche albicocco, ciliegio e susino. Non attacca tutte le varietà di pesco, poiché alcune sono resistenti o tolleranti, per esempio cultivar antiche come Amsden, Buco Incavato, S. Anna Balducci ecc.


Segnali inconfondibili

Quando le spore germinano e il fungo prolifera sulle foglie appena uscite dalle gemme, si notano le deformazioni che determinano il caratteristico aspetto bolloso (sembra quasi che siano deformate da galle provocate da insetti) da cui il nome della malattia, con colorazioni insolite che vanno dal giallo all’arancio fino al rosso intenso e porpora.

La pianta colpita perde molti fiori e quelli che allegano (dove cioè riesce a formarsi il frutticino) producono frutti stentati, piccoli e di cattivo sapore, perché poco alimentati dalle foglie anche se non colpiti; se vengono invece attaccati dal fungo presentano malformazioni che richiamano i sintomi fogliari. Nei casi più gravi l’attacco può interessare anche i germogli.

Le foglie attaccate perdono la capacità fotosintetica e sono destinate a cadere fino anche alla completa defogliazione; la pianta non è più in grado di alimentare la parte aerea, con gravi conseguenze per lo sviluppo dei germogli dei frutti e per la preparazione delle gemme dell’anno successivo: oltre a una perdita di produzione nell’anno si avranno ripercussioni anche negli anni a venire.


Prevenzione importantissima

Prevenire la malattia è fondamentale, perché quando i sintomi si notano è già tardi per intervenire, non essendo disponibili prodotti ad attività curativa. Per prevenirla o ridurne la virulenza, è bene raccogliere sempre ed eliminare il fogliame caduto in autunno, ed eventualmente passare la spazzola per tronchi raccogliendo con cura tutti i residui. Sulle piante non colpite, ma in zona dove la bolla è presente nelle vicinanze, è consigliabile eseguire due trattamenti preventivi, a base di sali di rame, uno alla caduta delle foglie in autunno e l’altro appena prima della schiusura delle gemme, cioè – come si diceva prima – a seconda dell’andamento meteo tra la metà di gennaio e la metà di febbraio.


La cura, quando e come

Se i vostri alberi sono già stati colpiti l’anno scorso o prima, è vitale trattare con anticrittogamici quando le gemme sono ingrossate ma non ancora aperte, per proteggerle dall’infezione. Nei casi più gravi o con piogge continue si può ripetere il trattamento nella fase di “bottone rosa”, cioè quando le gemme si stanno aprendo e s’intravvedono i petali rosati, non ancora aperti.

Non vanno mai effettuati trattamenti in fioritura per non danneggiare gli insetti impollinatori come le api, ma appena i petali sono caduti si può ripetere il trattamento.

Dopodiché non si può più fare nulla, perché qualunque trattamento non avrebbe più alcuna efficacia (il parassita ha già provocato danni in profondità alla pianta), e si riprenderà a trattare subito dopo la caduta delle foglie.

Cercate un prodotto a base di difenconazolo se l’attacco era conclamato ed evidente e preferite la lotta chimica di sintesi, oppure uno a base di rame (ossicloruro, solfato, poltiglia bordolese ecc.) ammesso in agricoltura biologica per trattare in prevenzione o come cura di attacchi non eccessivi.

E siccome “repetita iuvat”: sono inutili i trattamenti quando la malattia è già comparsa, poiché non ci sono prodotti curativi in grado di arrestare la malattia.

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