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Goji

Tutti lo cercano, tutti lo vogliono, per sperimentare le strabilianti e accertate proprietà delle sue bacche: è il goji, o “albero della giovinezza”, che, come asserisce il nome, promette una perfetta forma semplicemente consumandone con regolarità i suoi deliziosi frutti (“goji-berry”). Lo dimostrano le popolazioni himalayane, mongole, tibetane, cinesi e giapponesi, notoriamente longeve, che lo coltivano da secoli proprio per le bacche, vera “panacea” della medicina tradizionale cinese e orientale in genere. 



Una farmacia naturale

Questi preziosi frutti, accanto a carboidrati, proteine, grassi e fibra alimentare, sfoggiano 18 amminoacidi tra essenziali e non, 11 minerali fondamentali fra cui potassio e selenio in abbondanza e altri 10 in tracce, vitamine essenziali tra cui la C in quantità 40 volte più dell’arancia e quasi il doppio del kiwi, polisaccaridi e monosaccaridi, acidi grassi insaturi fra cui gli essenziali acido linoleico e alfa-linoleico, betasitosterolo e altri fitosteroli, carotenoidi, flavonoidi, polifenoli, betaina e altro ancora.

Questo cocktail di componenti fondamentali per il benessere dell’organismo svolge una benefica azione antiossidante, cioè di efficace contrasto della produzione di radicali liberi, responsabili dei fenomeni degenerativi di invecchiamento delle cellule e dei tessuti. Il cocktail esplica anche un’efficace attività adattogena (cioè interviene là dove l’organismo ha bisogno di aiuto), protettiva e immunostimolante. 

Il goji è inoltre prezioso per la salute della vista e della pelle, grazie ai carotenoidi, fra i quali la luteina e la zeaxantina allontanano il pericolo di degenerazione maculare e glaucoma, mentre il betacarotene previene l’invecchiamento cutaneo precoce. 

Infine gli acidi grassi essenziali mantengono in buona salute il sistema cardiocircolatorio, i flavonoidi fungono da “spazzini” del colesterolo LDL e abbassano la glicemia. E con un indice glicemico di 28, le bacche sono ampiamente consentite ai diabetici, e con circa 330 kcal per 100 g saziano l’appetito degli obesi.




La produttiva pianta del goji

Se nelle zone d’origine molti sono i goji sia spontanei sia coltivati, e altrettante le varietà, è acclarato che l’unica specie avente le virtù sopra esposte è Lycium barbarum. Questa Solanacea, parente di patate e pomodori, originaria del Tibet, Mongolia e Cina del Nord, forma un arbusto legnoso, spinoso e ramificato, alto oltre 3 m e largo circa 1,5 m, caducifoglio in inverno ma resistente alle basse temperature (viene coltivato all’aperto, in piena terra, in Alto Adige). La crescita è rapida: anche 2 m in una sola stagione. Le foglie sono lanceolate, lunghe fino a 9 cm, alterne, glabre, verde bottiglia, a margine intero, di consistenza semisucculenta e fragile al tempo stesso.

La fioritura avviene da giugno a settembre: i fiori, autofertili, si formano all’apice dei rametti dell’anno portati dai rami dell’anno precedente; man mano che si formano, e che inizia la formazione dei frutti, i rametti si appesantiscono e s’incurvano. Le corolle sono di forma campanulata e hanno cinque petali uniti, di colore lavanda inizialmente e poi lilla pallido. 

La maturazione delle bacche è scalare, da agosto a ottobre a seconda della zona di coltivazione. I frutti hanno forma ellissoidale e sono di color arancione carico. Contengono molti piccolissimi semi. La raccolta è manuale e viene effettuata in vari passaggi. La produzione può incominciare già al secondo anno e raggiunge il massimo già al terzo-quarto anno. 


Come coltivarla

Il goji è una pianta rustica e poco esigente: sopporta il gelo (fino a –20 °C), ma ama meno il caldo torrido e afoso se coltivata in vaso, nel qual caso va semiombreggiata nelle ore più calde e possibilmente ventilata. Preferisce posizioni in pieno sole, tranne che se vive in vaso. Gradisce terreni basici o neutri, comunque sempre con un perfetto drenaggio (non tollera ristagni idrici). 

Soprattutto nei primi anni di vita va irrigato con regolarità nei periodi caldi, sempre attendendo che il substrato si sia ben asciugato, in modo da garantire una veloce e abbondante entrata in produzione dei frutti. In seguito l’apparato radicale sarà sufficientemente sviluppato da autoapprovvigionarsi in profondità, anche nelle estati più aride. Si concima con un prodotto organico, come lo stallatico pellettato, in autunno, e con uno granulare NPK (ternario bilanciato) a lenta cessione in aprile e in luglio.

Le piante si mettono a dimora in autunno o in marzo e sono coltivabili sia in piena terra sia in contenitore: il vaso deve essere di dimensioni adeguate (24 cm di diametro per pianta alta 40 cm) alla crescita dell’arbusto. Per una buona e veloce riuscita è bene avvalersi di piantine da vivaio, reperibili nel vostro Centro di Giardinaggio di fiducia, piuttosto che partire da seme che, com’è noto, non necessariamente mantiene le caratteristiche della pianta madre.



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